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Data di inserimento 21 Gennaio 2025

Il 26 dicembre 2024, nelle ore serali, si è verificato il crollo di uno sperone roccioso in alta Valle Anzasca, nel comune di Macugnaga (VB), a ridosso della cresta spartiacque con la Valsesia, 200 m a nord-ovest del Colle delle Locce. Sul versante, il distacco ha lasciato un ampio squarcio al di sotto del quale si è allungato un deposito di frana grigio-marrone, ben in risalto sulla copertura di neve.

La disponibilità di materiale foto/video raccolti tempestivamente dalle guide alpine, dai Vigili del Fuoco e dal Soccorso Alpino ha permesso ad Arpa Piemonte di elaborare un modello 3D fotogrammetrico, sulla base di procedure speditive sviluppate negli ultimi anni. È stata così prodotta un’ortofoto e un modello digitale del terreno (DEM) del versante a pochi giorni dalla frana, basi su cui sono stati tracciati i limiti di dettaglio e le principali morfologie del fenomeno. La disponibilità, inoltre, di un recente DEM dell’intera conca, rilevato dall’Agenzia a settembre 2024 nell’ambito della campagna glaciologica, ha permesso il confronto e la misurazione della situazione precedente e successiva alla frana: sono stati così misurati i principali parametri dimensionali della nicchia (175 m di lunghezza, 100 m di larghezza, profondità media di 20 m, con punte di 50 m) e ne è stato calcolato il volume di roccia venuto a mancare in seguito al crollo: circa 350.000 m3.
Le analisi condotte hanno consentito una caratterizzazione speditiva ma di dettaglio, condivisa con l’amministrazione comunale di Macugnaga e i settori regionali competenti in materia. La frana si è quindi allungata sul sottostante ghiacciaio Settentrionale delle Locce e, dopo averlo superato lungo tutta la superficie, ha raggiunto la sponda meridionale del lago omonimo, dopo aver percorso circa 2,2 km (planimetrici) e circa 1100 m di dislivello. Il materiale di crollo si è accumulato in parte al piede della nicchia, dove si osservano blocchi plurimetrici, e poi verso valle dove si è distribuito in maniera irregolare, colmando le ondulazioni del ghiacciaio e del versante; nel crollo sono state erose le porzioni superiori del ghiacciaio per cui una parte, non quantificabile, di ghiaccio si è unita al materiale roccioso franato. In prossimità del lago delle Locce si riconosce un deposito più continuo, esteso per circa 500 m e largo 150/200 m. Tale deposito entra di circa 20 m all’interno dell’estensione del lago.
Al momento del crollo l’area presentava una continua, seppur scarsa, copertura nevosa che ha reso particolarmente netto il contrasto con l’accumulo detritico, rendendo inoltre ben riconoscibile l’area di deposizione della polvere generata dal crollo, estesa per alcuni km a valle dell’accumulo vero e proprio.

Per quanto possa sorprendere l’attivazione di una grande frana di crollo in alta quota in inverno, bisogna ricordare che si tratta di una fenomenologia non isolata: proprio a poche centinaia di metri di distanza, nel 2015 si era prodotta un’altra grande frana di crollo, occorsa il 16 dicembre. In questo caso la nicchia era impostata sotto la Punta Tre Amici e l’accumulo, dopo aver percorso i ripidi canali sottostanti, si è allargato sullo stesso ghiacciaio Settentrionale delle Locce, raggiungendo analogamente il lago delle Locce.
Il crollo del 26 dicembre rappresenta l’ultimo evento di instabilità di un’area caratterizzata da una spiccata dinamica ambientale; in particolare, guardando agli ultimi decenni e con rapidità crescente nel nuovo secolo, la copertura glaciale dell’intera conca dominata dal Monte Rosa ha subìto una riduzione areale, ma soprattutto volumetrica, impressionante, liberando estese aree di roccia e detrito. La rapidità e l’intensità delle trasformazioni in atto hanno determinato l’attivazione di una varietà di processi d’instabilità, che qui riassumono l’intera gamma dei fenomeni peculiari degli ambienti glaciali e periglaciali. Lo stesso crollo del 26 dicembre 2024 si è prodotto in un’area di recente deglaciazione: alla base dello sperone crollato, il ghiacciaio Settentrionale delle Locce ha perso circa 20 m di spessore dal 2010, scoprendo le rocce. Senza più protezione, si ipotizza che il calore estivo abbia iniziato ad entrare sempre più in profondità, accelerando i processi di fusione del ghiaccio interstiziale presente nelle fratture della roccia. Queste dinamiche, che vanno sotto il nome complessivo di degradazione del permafrost, sono riconosciute a livello globale come una delle principali cause dell’instabilità alle alte quote.

Arpa Piemonte è impegnata nell’osservazione, nel controllo e nel monitoraggio dello stato di evoluzione dei ghiacciai e della stabilità degli ambienti periglaciali, la cui sintesi è raccolta in una relazione annuale (per il 2023: https://relazione.ambiente.piemonte.it/2024/levoluzione-dellambiente-glaciale-nelle-alpi-piemontesi e https://www.arpa.piemonte.it/sites/default/files/media/2024-05/Relazione_glaciologica_2023.pdf; le relazioni del 2024 sono di prossima pubblicazione).
La cartografia e le descrizioni dei fenomeni franosi sono inseriti nel database SIFRAP - Sistema Informativo Fenomeni Franosi in Piemonte. La descrizione di dettaglio della frana del 26 dicembre 2024, contenente maggiori approfondimenti, è disponibile nella scheda di II livello.
Note
Ultima modifica 22 Gennaio 2025