Inquinanti
• Monossido di carbonio Il monossido di carbonio (CO) fra gli inquinanti gassosi è il più abbondante in atmosfera. È un gas inodore e incolore ed è generato durante la combustione di materiali organici quando la quantità di ossigeno a disposizione è insufficiente. La principale sorgente di CO è rappresentata dal traffico veicolare. La concentrazione di CO emessa dagli scarichi dei veicoli è strettamente connessa alle condizioni di funzionamento del motore: si registrano concentrazioni più elevate con motore al minimo e in fase di decelerazione, condizioni tipiche di traffico urbano intenso e rallentato. Il CO è misurato mediante il metodo dell’assorbimento di Radiazioni Infrarosse (IR) che si basa sull'assorbimento, da parte delle molecole di CO, delle radiazioni IR la cui variazione dell’intensità è proporzionale alla concentrazione del gas. L'unità di misura utilizzata per esprimere la concentrazione di Monossido di Carbonio è il milligrammo al metro cubo (mg/m3). Il CO ha la proprietà di fissarsi all'emoglobina del sangue, impedendo il normale trasporto dell'ossigeno. Gli organi più colpiti sono il sistema nervoso centrale e il sistema cardio-vascolare, soprattutto nelle persone affette da cardiopatie. Concentrazioni elevatissime di CO possono anche condurre alla morte per asfissia mentre le concentrazioni abitualmente rilevabili nell'atmosfera urbana producono effetti sulla salute che sono reversibili e sicuramente meno acuti. Il CO ha avuto, negli ultimi trent'anni, un nettissimo calo delle concentrazioni rilevate in atmosfera grazie al progressivo miglioramento della tecnologia dei motori dei veicoli.
È un gas incolore, di odore pungente, prodotto dell'ossidazione dello zolfo. Le principali emissioni di biossido di zolfo derivano dai processi di combustione che utilizzano combustibili fossili (gasolio, olio combustibile, carbone), in cui lo zolfo è presente come impurità, e dai processi metallurgici. Una percentuale molto bassa di SO2 proviene dal traffico veicolare, in particolare dai veicoli con motore diesel. La concentrazione di SO2 presenta una variazione stagionale molto evidente, con i valori massimi nella stagione invernale, laddove sono in funzione impianti di riscaldamento domestici, alimentati con combustibili solidi o liquidi. Il biossido di zolfo è misurato con un metodo a fluorescenza. L'aria da analizzare è immessa nello strumento in un’apposita camera nella quale sono inviate radiazioni UV a 230-190 nm. Queste radiazioni eccitano le molecole di SO2 presenti, che stabilizzandosi emettono delle radiazioni nello spettro del visibile, misurate con apposito rilevatore. L'intensità luminosa misurata è funzione della concentrazione di SO2 presente nell'aria. L'unità di misura con la quale si misura la concentrazione di biossido di zolfo è il microgrammo al metro cubo (µg/m3) Il biossido di zolfo a concentrazioni elevate è molto irritante per gli occhi, la gola e le vie respiratorie anche in presenza di nebbia nella quale è facilmente solubile. Nell’atmosfera, a seguito di reazioni con l'ossigeno e le molecole d'acqua, il SO2 può partecipare alla formazione del particolato secondario o al fenomeno delle cosiddette "piogge acide": precipitazioni con una componente acida significativa, responsabili di danni a coperture boschive e a monumenti, con effetti tossici sui vegetali e di acidificazione dei corpi idrici, in particolare quelli a debole ricambio, con conseguente compromissione della vita acquatica. Il biossido di zolfo era ritenuto, fino a circa 25 anni fa, uno dei principali inquinanti dell'aria mentre oggi il progressivo miglioramento della qualità dei combustibili (minor contenuto di zolfo nei prodotti di raffineria) e il sempre più diffuso uso del gas metano hanno diminuito nettamente la sua presenza in atmosfera.
L'ozono è un gas altamente reattivo, dotato di un elevato potere ossidante, di odore pungente e, ad elevate concentrazioni, assume un colore blu. E’ presente nella stratosfera ad un’altezza compresa fra i 30 e i 50 chilometri dal suolo e la sua presenza protegge la superficie terrestre dalle dannose radiazioni ultraviolette emesse dal sole. La riduzione della usuale concentrazione di questo composto in determinate aree della stratosfera è chiamata generalmente "buco dell'ozono". L’ozono presente invece nella parte di atmosfera più prossima alla superficie terrestre (troposfera) è un componente dello "smog fotochimico", particolarmente rilevante nei mesi estivi in concomitanza di un intenso irraggiamento solare e di un'elevata temperatura. L'ozono è un inquinante di natura secondaria, ovvero non è direttamente generato da attività antropiche e si forma in atmosfera a seguito di un ciclo di complesse reazioni fotochimiche che coinvolgono in particolare gli ossidi di azoto e alcuni tra i composti organici volatili (COV) che per tale motivo sono denominati precursori. L'ozono è misurato con un metodo basato sull'assorbimento caratteristico, da parte delle molecole di O3, di radiazioni ultraviolette (UV) ad una lunghezza d'onda di 254 nm. La variazione dell'intensità luminosa è direttamente correlata alla concentrazione di O3 ed è misurata da un apposito rilevatore. L'unità di misura con la quale sono misurate le concentrazioni di ozono è il microgrammo al metro cubo (µg/m3). Concentrazioni relativamente basse di O3 provocano già effetti quali irritazioni alla gola e alle vie respiratorie e bruciore agli occhi; concentrazioni superiori possono portare alterazioni delle funzioni respiratorie e aumento della frequenza degli attacchi asmatici. L'ozono è responsabile anche di danni alla vegetazione e alla produzione agricola. Negli ultimi anni la concentrazione di O3 è rimasta sostanzialmente costante o in leggera diminuzione. Tale tendenza alla stazionarietà è dovuta principalmente alla stabilità delle concentrazioni degli Ossidi di Azoto presenti in atmosfera che rappresentano, come visto, il precursore principale dell’Ozono e che non hanno mostrato forti diminuzioni. Le oscillazioni delle concentrazioni di Ozono sono legate alla variabilità delle condizioni meteorologiche. È necessario dunque affrontare il "problema" Ozono alla radice, cercando di sviluppare azioni ed interventi strutturali, che abbiano come obiettivo principale la riduzione delle emissioni degli Ossidi di Azoto e che, nel breve periodo, siano mirate ad informare la popolazione sui rischi legati all’inquinamento da Ozono ed a promuovere comportamenti che ne limitino gli effetti.
OSSIDI DI AZOTO (NOx) Si tratta di gas tossici irritanti per le mucose e responsabili di specifiche patologie a carico dell'apparato respiratorio (bronchiti, allergie, irritazioni). Tra gli effetti ambientali è da annoverare il contributo degli ossidi di azoto sia alla formazione del particolato secondario sia al fenomeno delle piogge acide, causa di possibile alterazione degli equilibri ecologici ambientali. L'introduzione delle marmitte catalitiche non ha ridotto in maniera incisiva la concentrazione di NO2, Bisogna ricordare infatti che il biossido di azoto è un inquinante piuttosto complesso e in parte di natura secondaria e questi aspetti rendono la riduzione delle sue concentrazioni piuttosto difficile, anche se nel corso degli ultimi anni si conferma un quadro di lieve miglioramento verosimilmente dovuto alle misure di risanamento adottate come ad esempio l’incremento delle abitazioni urbane servite dal teleriscaldamento.
Il benzene (C6H6) è un idrocarburo aromatico incolore, liquido e infiammabile. Il benzene presente in atmosfera è prodotto dall’attività umana, in particolare dall'uso del petrolio, degli oli minerali e dei loro derivati. Una rilevante fonte diffusa di esposizione per la popolazione è rappresentata dai gas di scarico degli autoveicoli, in particolare di quelli alimentati a benzina. Le misure sono effettuate mediante un sistema gascromatografico in continuo, dotato di rivelatore a fotoionizzazione. L'unità di misura con la quale si misura la concentrazione di benzene è il microgrammo al metro cubo (µg/m3). È stato accertato che il benzene è una sostanza cancerogena per l'uomo. Con esposizione a concentrazioni elevate, si osservano danni acuti al midollo osseo. Una esposizione cronica professionale può causare leucemia (casi di questo genere sono stati riscontrati in lavoratori dell'industria manifatturiera, dell'industria della gomma e dell'industria petrolifera). Negli ultimi anni si è avuto un progressivo e netto calo delle concentrazioni misurate in atmosfera. Tale risultato è frutto di pesanti limitazioni al suo uso come solvente, di una minore presenza nella benzina nonché dall’adozione delle marmitte catalitiche.
PARTICOLATO SOSPESO (PM10) e (PM2.5) Il PM10 inoltre costituisce il principale veicolo di diffusione di composti tossici e può essere trasportato anche a rilevanti distanze. In aggiunta il PM10 ha una componente secondaria, che si forma direttamente in atmosfera a partire da altri inquinanti gassosi già presenti, come ad esempio gli ossidi di azoto e il biossido di zolfo, che può arrivare a costituire anche il 60-80% del PM10 totale misurato. Il rischio sanitario legato ai composti presenti nelle particelle sospese nell'aria dipende, oltre che dalla loro concentrazione, anche dalle dimensioni delle particelle stesse. Le particelle di dimensioni inferiori costituiscono un pericolo maggiore per la salute umana, in quanto possono penetrare in profondità nell'apparato respiratorio. In prima approssimazione: • le particelle con diametro aerodinamico superiore ai 10 µm si fermano nelle prime vie respiratorie; • le particelle con diametro aerodinamico tra i 2,5 e i 10 µm (anche chiamate frazione “coarse”) raggiungono la trachea ed i bronchi; • le particelle con diametro aerodinamico inferiore ai 2,5 µm (anche chiamate frazione “fine”) raggiungono gli alveoli polmonari. Il PM10 e il PM2.5 sono misurati, se si utilizza il metodo semiautomatico di riferimento normativo, mediante campionamento su filtro in condizioni ambiente e successiva determinazione gravimetrica (vale a dire per pesata) delle polveri filtrate. L’impattore inerziale, contenuto nella testa di prelievo dell’apparecchiatura, ha una particolare geometria definita in modo tale che sul filtro arrivino, e siano trattenute, solo le particelle con diametro aerodinamico inferiore o uguale a 10 µm o a 2,5 µm. Gli studi epidemiologici hanno mostrato una correlazione tra le concentrazioni di polveri in aria e la manifestazione di malattie croniche o di effetti acuti alle vie respiratorie: in particolare asma, bronchiti, enfisemi e anche danni al sistema cardiocircolatorio. A livello di effetti indiretti, il particolato agisce da veicolo per sostanze ad elevata tossicità, quali ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici. La situazione di questo inquinante conferma negli anni una generale diminuzione dei valori misurati. Ciò comunque non riduce la preoccupazione per la criticità che resta significativa nelle zone maggiormente urbanizzate dove si verificano numerosi superamenti soprattutto del limite giornaliero di 50 µg/m³. In particolar modo la componente secondaria di questo inquinante rappresenta un “fondo” su cui risulta difficile incidere significativamente.
Si ritrovano nell'atmosfera come residui di combustioni incomplete derivanti da sistemi di generazione di energia che utilizzano combustibili solidi, tra i quali le biomasse rappresentano una sorgente significativa, o liquidi, da emissioni degli autoveicoli nonché da impianti industriali ecc. Sono per la massima parte veicolati da particelle carboniose emesse dalle stesse fonti. L'emissione di IPA nell'ambiente risulta molto variabile a seconda del tipo di impianto, del tipo di combustibile e della qualità della combustione. La presenza di questi composti nei gas di scarico degli autoveicoli è dovuta sia alla frazione presente come tale nel carburante sia alla frazione che ha origine per pirosintesi durante il processo di combustione. La frazione fine del particolato (PM10) contenuta in un volume noto di aria è raccolta su membrana in fibra di vetro o di quarzo; tale membrana è sottoposta ad estrazione con opportuno solvente e nell’estratto i singoli composti degli IPA sono quantificati mediante tecnica gascromatografica. Un numero considerevole di Idrocarburi Policiclici Aromatici presentano attività cancerogena. L'andamento delle concentrazioni in aria ambiente rileva una forte dipendenza stagionale e una situazione peggiore nelle stazioni non urbane rispetto a quelle urbane a causa del contributo ascrivibile all’uso del legno come combustibile. L'andamento nel corso degli ultimi anni rileva comunque un miglioramento. I metalli presenti nel particolato atmosferico hanno origine da una molteplice varietà di sorgenti: ad esempio il cadmio e lo zinco sono in generale originati prevalentemente da fonti industriali, il rame e il nichel dai processi di combustione. Il ferro proviene dall'erosione dei suoli, dall'utilizzo di combustibili fossili, dalla produzione di leghe ferrose ecc. La frazione fine del particolato (PM10) campionato su filtri in fibra di quarzo è sottoposta a mineralizzazione mediante soluzione acida ossidante e sulla soluzione ottenuta si determina la concentrazione dei metalli mediante tecnica ICP-MS. Tra i metalli che sono oggetto di monitoraggio, quelli a maggiore rilevanza sotto il profilo tossicologico sono il nichel, il cadmio, l’arsenico e il piombo. I composti del nichel e del cadmio sono classificati dalla Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro come cancerogeni per l'uomo. Per il piombo è stato evidenziato un ampio spettro di effetti tossici, in quanto tale sostanza interferisce con numerosi sistemi enzimatici. Tutti questi metalli sono presenti in concentrazioni molto basse e in particolare il piombo, a partire dagli anni ’70, ha evidenziato una notevolissima riduzione.
Il mercurio in atmosfera, presente prevalentemente in forma gassosa come mercurio elementare (Hg°) ed in misura minore come composti inorganici o organici, vi è emesso a seguito sia di attività antropiche sia di fenomeni naturali. Il mercurio elementare gassoso è un elemento tossico nei confronti della salute umana e dell’ambiente e la sua misura in atmosfera, nella rete piemontese di monitoraggio, viene effettuata nella stazione di Beinasco - Aldo Mei con la tecnica spettroscopica di assorbimento atomico ad effetto Zeeman. Il mercurio è fortemente tossico e l'introduzione nell'organismo può avvenire sia per ingestione, sia per inalazione dei vapori, sia per semplice contatto cutaneo. L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel documento “Air Quality Guidelines for Europe – seconda edizione” stima comunque che l’esposizione a mercurio legata all’aria ambiente sia inferiore di ordini di grandezza a quella originata dall’uso di questo metallo negli amalgami dentali. Il mercurio ha anche rilievo come contaminante di terreni in seguito a fenomeni di deposizioni atmosferiche. Dati di letteratura indicano che il cosiddetto “mercurio reattivo” (vale a dire specie di mercurio idrosolubili con pressione di vapore sufficientemente elevata per esistere in fase gassosa, principalmente HgCl2) ha maggiore importanza come potenziale contaminante locale del suolo rispetto al mercurio elementare, in quanto ha un tempo medio di permanenza nell’atmosfera inferiore. Va sottolineato che il mercurio accumulato nei suoli può venire progressivamente rilasciato nelle acque superficiali per lunghi periodi di tempo. Una volta entrato nell’ambiente acquatico, il mercurio inorganico è trasformato in metilmercurio, la forma più tossica e biodisponibile per gli organismi viventi, che può originare significativi rischi in relazione al consumo di pesce a scopo alimentare. La normativa comunitaria e nazionale non indica valori limite o valori obiettivo né in aria ambiente né nelle deposizioni. OMS ha proposto per la media annuale il valore di 1000 ng/m3 come linea guida per il mercurio inorganico in aria ambiente. |